Raccontare il mondo, quello che ci succede, le cose che stanno attorno, può apparire cosa facile. La banalità dei fatti quotidiani (ma banali poi per chi?), ha anch'essa una sua grammatica, un suo ritmo, una sua poesia, un suo colpirci e renderci attenti alla voce che ci parla.
Ma quando si vuole raccontare qualcosa che appartiene alla sfera più alta dell'essere umano, accade che la voce cerchi un compagno che ne moltiplichi la forza e ci seduca, ci prenda per mano, per regalarci un ascolto più meditato, più vicino al pensiero, meno intrappolato nel racconto. Questo compagno, da quando l'uomo è su questa terra, è la musica, ora con l'allegro di una festa, ora con l'adagio di un addio.
Da dove nasce questa vicinanza ininterrotta? Da dove nasce questa complicità gratuita e generosa tra uomo e musica? E' una domanda a cui farei davvero una fatica enorme a rispondere. Ma le strade della conoscenza, e quindi anche il grimaldello con cui si apre la porta di una possibile risposta, passano tutte da un luogo chiamato "amicizia" (termine il cui abuso rischia di impoverirne il significato). Eppure, qui, vorrei parlare di un'amiciza vera, con un amico vero, un uomo che non ha vissuto la mia stessa vita, non è nato nel mio stesso paese e ha incrociato la mia strada solo da qualche anno. E' Giovanni Carmassi, un pianista, un maestro che ha un "pezzo" di vita, e quindi di mente e cuore, legato a Monteacuto delle Alpi. Questo signore, con i capelli bianchi e gli occhi di un adolescente, la camminata di un atleta e due mani che sono poesie nell'aria, ha dedicato estati intere ai suoi allievi, a Lizzano in Belvedere, e a noi ha dedicato la sua arte e quella degli allievi, in una infinita serie di concerti. Questo amico ha rinsaldato, sui nostri monti e nelle nostre chiese, l'antichissima amicizia tra musica e uomo. Ha raccontato tutto quello che si può raccontare sulla voce e sul suo contrario: il silenzio. Lo ha fatto con una generosità pari a quella della musica stessa. Lo ha fatto per amore di una terra consapevole solo in parte del rischio che perdere la musica equivale a perdere il discorso sulla propria vita, la propria storia, la dignità di esseri votati alla bellezza.
A lui devo uno dei ricordi più belli che ho di mio padre. Eravamo andati ad ascoltare un concerto dei suoi allievi, sull'isolotto del laghetto del Cavone. Io ascoltavo i musicisti, guardando il modo in cui muovevano le mani. A un certo punto, mi accorsi che mio padre guardava invece lui, Giovanni, rapito dalle note che vedeva scorrere sulle sue labbra. "Le sa tutte! Le mette tutte al punto giusto. E' come se le stesse dettando mentre loro le suonano" mi sussurrò, strabiliato, mio padre. Mio padre aveva il viso di un bambino pieno di stupore, un bambino che sa cosa è un maestro, si fida di lui, lo guarda e lo ascolta. E impara.
A lui devo uno dei ricordi più belli che ho di mio padre. Eravamo andati ad ascoltare un concerto dei suoi allievi, sull'isolotto del laghetto del Cavone. Io ascoltavo i musicisti, guardando il modo in cui muovevano le mani. A un certo punto, mi accorsi che mio padre guardava invece lui, Giovanni, rapito dalle note che vedeva scorrere sulle sue labbra. "Le sa tutte! Le mette tutte al punto giusto. E' come se le stesse dettando mentre loro le suonano" mi sussurrò, strabiliato, mio padre. Mio padre aveva il viso di un bambino pieno di stupore, un bambino che sa cosa è un maestro, si fida di lui, lo guarda e lo ascolta. E impara.
Oggi, il Maestro Giovanni Carmassi ci ha fatto un altro dono. Lo ha fatto a tutti. Ma a me piace pensare che, in una sorta di preludio, abbia pensato proprio a noi. La storia è questa. Il filosofo e psicoterapeuta Pietro Ferrucci, padre di un suo allievo, assiste a una lezione durante uno dei corsi estivi a Lizzano. Stupito e affascinato, comincia un dialogo con il maestro. Alle domande di Ferrucci, Giovanni risponde e riporta alla sua mente
tutti gli ascolti (sono davvero tanti) che ha vissuto: il suo maestro, i
grandi compositori, i poeti e gli scrittori. Le parole sono un racconto
che non finge nulla, che si denuda di ogni artificio e si fa vita e
verità. Attenzione, non quella verità, quella che solo gli uomini da
poco tengono per certa e posseduta. La verità di una fede nell'arte,
nella bellezza. Giovanni si affida alla forza e alla bellezza del
mistero, perché la musica è mistero, afferma, e anche la vita è mistero.
Sta a noi cercare di capirci qualche cosa, di farne cibo e norma per
questo nostro tempo.
Ne nasce un libro di eccezionale densità. Il dialogo si moltiplica, diventa il forziere che si schiude, la grotta di Alì Babà, l'ostrica che apre le valve. Un libro ricco, di quelli in cui, anche se non comprendi proprio tutto, riesci ad entrare e a trovare la tua stanza. Un libro in cui ti fermi ad ascoltare, non solo udire, la forza della voce.
Ne nasce un libro di eccezionale densità. Il dialogo si moltiplica, diventa il forziere che si schiude, la grotta di Alì Babà, l'ostrica che apre le valve. Un libro ricco, di quelli in cui, anche se non comprendi proprio tutto, riesci ad entrare e a trovare la tua stanza. Un libro in cui ti fermi ad ascoltare, non solo udire, la forza della voce.
Lo si capisce, fin dall'inizio del libro, che la "lezione" di Giovanni poggia sulla convinzione che ogni esperienza estetica è esperienza etica. Pietro e Giovanni parlano di tecniche e di regole, di tutto quanto si nasconde e si rivela nell'arte antica della musica; ma il loro dialogare mira più in alto, ponendo al centro la perenne domanda su come raccontiamo il mondo per comprenderlo e farne un luogo buono in cui abitare. Le loro voci assomigliano al battere e levare, agli accidenti musicali che accompagnano la nostra vita che ha il ritmo mutevole degli spartiti più diversi.
Giovanni Carmassi con Pietro Ferrucci, Dal silenzio la musica, Edizioni ETS, Pisa, 2013 |
La quarta di copertina recita: "Lo scopo ultimo (del libro) è di mostrare quanto nell'esecuzione pianistica partecipi tutto l'essere: la mente e il cuore, la memoria e l'attenzione, la cultura e l'istinto, il corpo intero, il respiro."
L'ultimo insegnamento, e non certo il meno importante, è già nel titolo del libro: il valore del silenzio. Non si dà musica senza silenzio. Il silenzio delle pause, quelle musicali e quelle della vita. Il silenzio che è complicità in una amicizia vera. Il silenzio di un cuore e di una mente, che pur feriti e delusi, continuano a viaggiare lungo la scala delle note.
Grazie, davvero, Giovanni. Grazie per risalire
l'Arno e poi il Reno e poi il Silla e infine il Baricello. Di stare un
po' con noi, tra i nostri monti. A te dobbiamo estati piene, di musica,
di poesia, di insegnamenti, di risate e di entusiasmo.
E scusa se ci permettiamo di tradire il bellissimo titolo del libro, caro Giovanni, perché qui, dal silenzio che è seguito a quando sei andato via, con i tuoi allievi, non è nata molta musica. Speriamo davvero che il tuo silenzio sia soltanto un'altra pausa sul rigo di un nuovo spartito che scriveremo insieme. A presto, quindi. Il libro è molto bello, ma è la tua anima bella che ci manca.