Ci sono parole di ogni tipo, per ogni occasione, parole che ci escono dalla bocca con facilità o che serbiamo per i momenti migliori. Le più difficili, però, sono quelle che abbiamo taciuto a lungo, che abbiamo negato a una persona cara, chiusi nella nostra rabbia, sconfortati dalla delusione, sopraffatti dal dolore. Eppure, bisogna trovare un modo per riparare a un silenzio lungo, carico di fiele, cocciuto e dispettoso. Bisogna trovare il modo di aprire la nostra dannatissima bocca e lasciarne uscire l'amaro, tutto quanto, e poi respirare aria nuova, fresca, lasciare che i polmoni si gonfino e si svuotino al ritmo del nodo alla gola che si scioglie e che fa male. Bisogna chinare la testa, toccare terra con le dita tese delle mani, piegare la schiena come fa il bambù in faccia al vento. Bisogna asciugare il pianto che a nulla conduce, ridere del male detto e fatto, dato e ricevuto. Bisogna illuminare le nuove strade a neve, segnarvi impronte che pure scompariranno con la prima pioggia, lasciare dietro di sé le briciole di un pane prezioso, con il rischio di non ritrovare più nulla, di restare affamati, a lungo. Affamati di segni, di dialoghi, di passi nel vento e nella polvere. Ecco, le parole più difficili, allora, sono quelle che vengono sempre dopo, quelle che non avevamo pensato prima, che avevamo scartato, inadatte, in bilico tra le grida e il silenzio. Sono quelle che solo dopo ci appaiono cariche di luce, di chiarezza, di apertura. Le parole più difficili sono quelle che potevamo dire prima, scegliendole tra i pensieri più duri, che dovevamo dire tra un respiro e l'altro, quelle che vengono subito prima del silenzio. Ma quasi mai ci è dato il tempo e l'occasione di farlo. Allora basterà sapere che anche il silenzio improvviso fa parte del gioco, ma che la bellezza di un silenzio interrotto assomiglia al pensiero che siano le parole a scegliere noi. Un pensiero che, dopo tanto dolore, porta un po' di pace nel cuore.
Una
cornice al mio pensiero
nell’affollarsi
dei ricordi
sto
disegnando con l’inchiostro
come
se il nero e il buio assieme
potessero
ridare un fiato
a
quello che è passato
al tempo
che non torna indietro
nemmeno
se lo cerchi
sui
fogli sporchi, sulle mani
sul
tavolo in cucina, tra le briciole
di
pane ormai raffermo.
Dobbiamo
ancora masticare amaro
chinare
il capo e arrenderci al domani
e
bisbigliare nuove voci
fermi,
in ascolto
dell’urlo
grande e disumano
che
si prepara, al fianco
della
battaglia muta
di
sangue e acqua di sorgente
grido
di gola rossa e fonda
stupore
indenne e voglia di dormire
pace
e poi guerra e arcobaleno.
buona notte, Tommaso...
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