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la "polvere di sole"
Da un angolo del cielo
piovono linee rosse
quasi un reticolo di sangue
un sollevarsi di dolori
nell’aria sgombra dell’autunno.
C’è un grappolo di vero in quel disegno
un lento rovesciarsi delle cose
come per dire “Ecco, ti sia felice il passo”
un ascoltare pietre accovacciate
in mezzo a un verde acceso, a macchie.
Da un cielo così solo
cade una polvere di sole
come un crepuscolo di lingua
un rivelarsi di stupore
nell’ultimo tepore dell’autunno.
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Era il
1994, era un'idea che covava da anni, era una scommessa finalmente a portata di mano, era un segno lasciato sul territorio, era un omaggio alla bellezza della nostra terra e della nostra arte, era un gettare un ponte con chi sarebbe venuto dopo. Era, era, era...
Ieri siamo saliti di nuovo lassù, a visitare quel sentiero, col cuore che batteva forte, con rabbia e nostalgia come compagne. Perché? Si sa il perché, ma non se n'è più parlato. Tutto è scomparso dalla mente, precipitato assieme ad altre sconfitte. Ma ogni volta credo che a perdere sia soprattutto la nostra stanca e spersa comunità. Il nostro essere meravigliosamente periferici, spesso, ci spinge a elaborare sogni grandiosi che, quasi per la magia del bosco e del monte, diventano talvolta realtà, progetti e fatti che attirano l'attenzione di chi sta fuori, di chi sta lontano. E' attraverso gli occhi di chi viene a visitarci che riscopriamo una ricchezza dataci in sorte. Chi arriva guarda, parla, ama, inizia un dialogo, aspetta una risposta. Come si fa, poiché questa è la domanda, a rimanere sordi a questo invito? Perché, ogni volta, la nostra voce si interrompe? A chi sostiene che "anche le cose belle finiscono" mi viene voglia di gridare che, indipendentemente da chi porta la colpa della fine, una cosa che muore è una cosa che muore e basta. Dobbiamo pensare bene alla responsabilità che tutti portiamo, nei confronti di noi stessi, ma soprattutto nei confronti di chi ci vive accanto. Un bagno di umiltà fa sempre bene alla salute, un gesto di coraggio, una minuscola rinuncia di maestà. Stasera, dopo la visita nel bosco, farei a pezzi tutto quanto, maledicendo la mia stupida passione, quella che mi porta avanti, che non ascolta la ragione, non vede il limite del tempo, quella passione che fa tanto bene, pur se ti fa restare muto, triste, solo con il tuo piccolo fardello di speranze. Ripenso alla mia vecchia idea che le ferite poi diventano cicatrici, che non fanno più male. Beh, credo di avere torto.
Ecco cos'è il Sentiero che in molti hanno percorso, che pochi hanno immaginato. Cos'è oggi, a quasi vent'anni. La bellezza non se n'è andata definitivamente. Le fotografie sono di Lule, grazie!
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"La grande trave sacra di Hokusai" di Bruno Raspanti
Tu
non ci sei
mi
lascio sorvegliare
dagli
occhi dei miei faggi
in
questo sottobosco rosa
il
rosa che anche tu, Bruno
cercavi
e non trovavi
con
la tua testa aperta
e
gli occhi spalancati.
Vidi
la trave nel tuo occhio
l’omaggio
al nome di Hokusai
e
poi la vidi lunga sull’altare
e
infine vidi il rosa.
“Certo
– mi hai detto – non credo che sia quello
ma
è quasi uguale.”
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"Sette segni sogni" di Rinaldo Novali
Segni
di sogni
svaniti
dentro il nero
come
ragni.
Avevi
scelto il sette
Rinaldo
numero
magico e potente
avevi
appeso i sogni
i
segni
ai
resti delle piante.
E
ora
i
tuoi sogni?
Caduti
tra le felci
del
bosco
ritornano
parole.
Più
non ti conosco.
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"Poeticamente abita l'uomo" di Graziano Pompili
Ho
visto subito
la
polvere che ti copriva gli occhi
la
luce la fede la gioia
di
respirare questo bosco.
Pensavi a Holderlin
Graziano
compagno
tuo di strada
mentre
cercavi di spiegarmi
dove
poeticamente abita l’uomo.
La
tua saliva è lama
fende
le pietre nude
lungo
il sentiero che risale.
E’
la tua pietra viva che attecchisce
con
gemme rosse sulla fronte
per
chi sa il tempo e pure
ancora
si stupisce.
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"Impossibile mikado" di Claudio Costa
Sono
sicuro che è partito
Claudio
quel
tuo vascello
nato
dai sette faggi raggruppati
con
il tesoro al centro
quell’uovo
di Colombo
della
tua Genova solare e folle.
Muovevi
le tue mani
di
rabdomante dimentico dell’acqua
che
cerca solo legno e pietra
in
trasparenza di materia.
Miriam
ed io seduti
su
quel tuo gioco immenso
non
parlavamo e guardavamo
il
cuore grande, inferocito
che
avevi nella mano.
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l'"occhio del faggio", lo sguardo di natura, continua a guardare, a serbare la bellezza.
i testi sono tratti da "Il mare in salita", Book Editore, 2007
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Accidenti, Ale, quante cose in questo post! Se almeno capissero...
RispondiEliminaChe rabbia! lule
Buonuomo..
RispondiEliminami dispiace..per molte cose..molte delle quali io stesso non capisco.
Per età..impulsività..disinformazione..e chi più ne ha più ne metta.
E non esiste linguaggio capace di rinchiudere uno sguardo verso un altro.
Se ne avessi il potere le lascerei tra le dita la penna che traccia la curva colorosa di ogni arcobaleno.
Cosa dire quando non si sa cosa dire? forse il silenzio era meglio..? non so.
un abbraccio a un caro amico
tu zio sei un gran poeta bravo
RispondiElimina