Vanderwill è tornato! I suoi successi ciclistici di bambino sono stati finalmente riconosciuti, e a livello inernazionale! Il bambino ciclista che pedalava forte in salita e pedalava e frenava in discesa, è stato invitato ai Mondiali di Ciclismo che si svolgeranno a Firenze nella seconda metà di settembre. E' un'occasione forse unica per vederlo all'opera, sulla sua vecchia bicicletta rossa, infilare a tutta velocità le stradine di San Frediano, urlando lodi a Pratolini e spernacchiando avversari lenti e pigri.
Ma, direte voi, chi diavolo è questo Vanderwill! Beh, vi posto un assaggio di ciò di cui vo parlando e poi lascio a voi immaginare il resto. Leggete, gente, leggete e se siete nei paraggi, in bici, in treno o a piedi, venite anche voi a sciacquare i panni e le gomme in Arno!
inedito
"Anche
quell’anno il Giro d’Italia era finito. Prima, per quindici lunghissimi giorni,
dalle due alle tre del pomeriggio, al Bar Mattioli, a noi bambini era vietata
qualunque cosa: non potevamo parlare, ridere, dire scemenze. Nel silenzio
assoluto l’unica voce ammessa era quella della TV. Per noi non era un grave
problema, correvamo a giocare nel piazzale della chiesa, un grande spazio tappezzato
ormai da chilometri quadrati di pelle fresca e sangue rappreso misto a lacrime.
Gli uomini del paese, pazzi per il Giro, trovandosi all’improvviso privati di
biciclette, borracce, salite e cronometro, ebbero una brillante idea:
organizzare il Giro di Lizzano, una corsa a tappe del tutto simile a quella ben
più famosa che attraversava la penisola. Non pensavano però di mettersi a
pedalare su e giù per le strade, sfidandosi sul filo del traguardo. No di
certo. Loro non ci pensavano proprio.
Scoprimmo
così che le loro sportivissime intenzioni avevano a che fare con noi. Avremmo
dovuto noi vestire i panni, o meglio, i calzoncini del ciclista e sfidarci a
chi arrivava primo. Il Giro fu organizzato in modo esemplare. Si stabilirono le
tappe e, siccome eravamo in montagna, c’erano tratti di dura salita e di
vertiginosa discesa. L’organizzazione fu degna di una gran classica del
ciclismo a tappe. Le automobili più alla moda, coperte da lenzuoli con il
marchio delle squadre e la pubblicità, furono promosse “ammiraglie”, con il
compito di seguire la corsa. C’erano
anche le lambrette fiammanti dei giovani più in vista del paese e, cosa davvero
straordinaria, si trovarono subito gli sponsor: due negozi e un bar. Le squadre
erano tre: Germanvox Vega, Superga e Pini Gelati. La prima ditta vendeva
elettrodomestici, la seconda scarpe, soprattutto da tennis, e la terza gelati
famosi come la banana o il ghiacciolo che se aveva una tacca sul bastoncino ne
vincevi subito un altro.
Io facevo parte della squadra della
Superga, sponsorizzata dal calzolaio Domenico, detto Mengarino, uno dei dieci
cugini buoni di mio padre. Con me c’erano Antonio e Franco che sarebbe poi
risultato il vincitore assoluto. Quando tutto fu pronto, il Giro di Lizzano
cominciò e, fin dalla prima tappa, l’attenzione del pubblico si distribuì
equamente sui risultati dei primi in classifica e su quelli degli ultimi. E gli
ultimi erano esattamente sempre due, io e Stefano, detto Babbone (così lui
chiamava sempre suo padre). Eravamo tutti e due grassi e goffi, ma il nostro
stile era alquanto diverso. Lui era molto lento in salita e così io gli davo
del fumo, come si diceva allora. Io, invece, ero abbastanza veloce in salita ma
avevo il sacro terrore della velocità e quindi, in discesa, pedalavo e frenavo
allo stesso tempo. Consumavo i gommini dei freni ad ogni tappa e, a volte, il
vantaggio che avevo accumulato in salita veniva tutto bruciato in discesa. Mi
capitava così di vedere Stefano sfrecciarmi davanti poco prima del traguardo. Comunque
andasse, ad ogni tappa, eravamo sempre noi a giocarci la maglia nera, il titolo
meno prestigioso del Giro.
Stefano aveva già il suo soprannome,
Babbone. A me invece mancava e ci pensò la televisione a suggerirne uno che
piaceva soprattutto i miei avversari. Alle cinque del pomeriggio, da marzo a
giugno, la TV dei ragazzi trasmetteva un programma ambientato nel Far West. Un
gruppo di soldati viveva asserragliato in un fortino che orde feroci di indiani
tentavano senza posa di conquistare. Il programma si chiamava “I forti di Forte
Coraggio”. A quel tempo, gli indiani erano i cattivi e si lanciavano ululando
sui soldati, soprattutto su quelli con i capelli più lunghi, per impadronirsi
dello scalpo più bello da portare alle squaw come trofeo. A guardia del
fortino, c’era quasi sempre lo stesso soldato, grasso, rosso e sudato, che si
chiamava Van Der Will, il quale portava occhiali da vista e scambiava sempre
gli indiani per tacchini e i tacchini per indiani. Le conseguenze della sua miopia
erano catastrofiche, ma non tanto da metter fine alla serie di puntate del
programma. Io ero, lo ammetto, Van der Will sputato: grasso dovunque, occhiali
da vista, sudore copioso e goffaggine da vendere.
I trionfi dei ciclisti fiamminghi al Giro d’Italia finirono
col favorire il successo del soprannome e fin dalla prima tappa, io fui per
tutti Van Der Wil, pronunciato tutto attaccato: Vànderwill. E come Vanderwil
feci del mio meglio. Io e Stefano continuavamo la nostra perenne lotta per non conquistare
la maglia nera. chissà se si leggerà mai il seguito, chissà se si scoprirà mai come andò a finire il Giro?
intanto, se potete, venite ad ascoltare Vanderwill, dove?
bibliotecathouar@comune.fi.it; 055.2398740
http://www.biblioteche.comune.fi.it/biblioteca_pietro_thouar/
Vanderwill!!! :D SEI IL PIù FIGO!
RispondiElimina...e si ricordi di prendere la penna verde per gli autografi, buonuomo!
:) ...e ora chi è che corre più veloce di tutti? hmmm... io una mezza idea ce l'ho.
voy pedalando como Vanderwill... besos (scusa, caro anonimo, ma oggi va lo spagnolo, mi serve per il prossimo post9, ale
Eliminanon si scusi, lo spagnolo ha un suono così bello, pronunciarlo pare una formula segreta..chissà quale magia farà comparire.Un non troppo ormai anonimo abbraccio.
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