domenica 11 marzo 2012

Alicia Baladan


E’ davvero cosa strana conoscere una persona attraverso le sue illustrazioni. E’ ancora più intrigante quando le illustrazioni sono su alcuni tuoi testi per un libro che i Topipittori hanno deciso di fare. Ricordo ancora con emozione la mail di Giovanna Zoboli che mi diceva che avevano individuato una illustratrice adatta alle mie poesiole sul cielo. “Non ti diciamo ancora il nome, ma presto lo saprai!”. Alicia, molto probabilmente, doveva decidere se accettare oppure non farlo. Poi, dopo poco tempo, mi arrivano due tavole preparatorie, bellissime. In una, un oggetto per me magico: le forbici! Per farla breve, mi innamoro subito del lavoro di Alicia, ma il tempo per incontrarla è ancora lontano. Bisognerà aspettare la Fera di Bologna del 2010. Alicia la trovo lì, contenta del suo libro Una storia Guaranì, bellissimo, con una copertina mozzafiato. 
E’ contenta di conoscermi, io sono felice di conoscerla. Parliamo un po’ di noi, ma poco, ci scrutiamo, ci osserviamo e, penso io, ci piacciamo. Giovanna e Paolo ci fanno vedere che il nostro “cielo” è già in catalogo per il 2011. Evviva! Poi, il tempo passa, ci sentiamo ogni tanto, ci vorremmo incontrare più spesso, ma il lavoro ci tiene lontani. Ci parliamo a distanza quando i Topi decidono di intervistarci per il loro blog su come si lavora l’una sui testi dell’altro e l’altro (che poi sarei io) che dice cose su come l’altra ha lavorato. Non sono un addetto ai lavori, non ho strumenti per affrontare questioni tecniche sul lavoro di un’illustratrice. Eppure, in attesa di ritrovarci di nuovo, voglio parlarvi di lei.
Il lavoro di Alicia non è solo quello di illustrare. Lei scrive e il suo libro 
 Piccolo, grande Uruguay, nella bellissima collana dei Topipittori Gli anni in tasca, è un gioiello, un invito ad entrare in un mondo lontano e vicino a un tempo, in una storia in cui, più che gli eventi, seppure interessanti, contano le emozioni della vita bambina che cresce, tra difficoltà e rinunce, sempre tra la realtà quotidiana e il sogno che incombe. Alicia rende testimonianza della sua infanzia e lo fa con il tratto ora serissimo ora scanzonato dei bambini, senza sovrapposizioni “adulte”.

“Papà aveva la testa come un porcospino ed era divertente strofinarla con le mani. Gli guardavo sempre le unghie che, nella mano destra, aveva linde e lunghe; avevo l’impressione che muovesse le dita in modo inusuale: erano affusolate e sembravano stare attente a dove si posavano. Le mani erano l’unica parte di mio padre che avesse conservato un aspetto davvero identico a quello che osservavo in certe foto di lui che avevo a casa. Per il resto, faticavo a capire che si trattasse della stessa persona. Nelle foto, aveva folti capelli neri e vestiva elegante; era magro, ma di bell’aspetto, e stava sempre suonando il piano o la chitarra.”

Questo libro pare avere la leggerezza e la profondità delle sue animazioni, quel continuo farsi e disfarsi del discorso, della visione, del ricordo, della trama di ogni giorno vissuto. Ecco, il farsi e disfarsi del mondo mi pare essere il segreto del suo lavoro, la cosa che mi piace di più in tutto quello che ho potuto vedere fino ad oggi. E nuove cose verranno, a confermare o smentire queste mie parole. Ma sarà sempre sorpresa, meraviglia. Alicia non è tanto e solo un’artista, con un bagaglio culturale ricco e vastissimo. Alicia è soprattutto un’anima che sa ascoltare il canto più antico e la musica più nuova, che sa guardare lo specchio più vecchio e l’acqua più fresca. Grazie, allora, Alicia. E grazie ai Topi per avermi fatto conoscere Alicia. 

 
Leggete, leggete. E, poi, comprate i libri, regalate i libri, andate in biblioteca, andate in libreria.

Buona notte a tutti.

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