La sera ha quella quiete che cerchiamo tutto il giorno, quella "distanza" dalle cose che ci pre-occupano durante le ore del giorno. Sarà per questo che scrivere di sera è come prendere la distanza dal mondo cosiddetto reale per accollarsi la responsabilità del mondo "che ci appartiene per davvero", il mondo in cui ciascuno di noi vorrebbe calvinianamente rinascere, anche se ciò, come dice giustamente Calvino, significa ripetere il trauma della nascita. Ecco, allora scrivere di sera è anche essere nudi di fronte alle nostre più grandi responsabilità, essere finalmente senza armi, senza quei pensieri che ci costruiamo di giorno per recitare, più o meno bene, il ruolo che ci compete. Qualcuno avrebbe il coraggio di chiamarla libertà, altri addirittura verità. Per me, invece, si tratta semplicemente della resa dei conti, una resa che non ha nulla della sconfitta, nulla di tragico insomma, ma che ha il sapore dell'abbandono.
Per una sera che resiste
che
stringe i pugni e caccia il buio
in
un anfratto di silenzio
non
ho nessuna soluzione.
Affronto
la distanza
come
si affrontano le stelle
a
capo chino
contando
gli anni-luce.
Per
questo dire con la vista
che
afferra il nero e scuote il petto
in
un subbuglio di ricordi
non
ho mai chiesto il tuo perdono.
Abbrevio
la distanza
dove
si annunciano le valli
a
volo raso
cantando a
mezza voce. (da
Perimetri e distanze, inedito)
e buona sera a tutti! Prendetevi cura delle vostre sere, ma pure dei vostri giorni.