giovedì 5 dicembre 2013

Perché la sera?

La sera ha quella quiete che cerchiamo tutto il giorno, quella "distanza" dalle cose che ci pre-occupano durante le ore del giorno. Sarà per questo che scrivere di sera è come prendere la distanza dal mondo cosiddetto reale per accollarsi la responsabilità del mondo "che ci appartiene per davvero", il mondo in cui ciascuno di noi vorrebbe calvinianamente rinascere, anche se ciò, come dice giustamente Calvino, significa ripetere il trauma della nascita. Ecco, allora scrivere di sera è anche essere nudi di fronte alle nostre più grandi responsabilità, essere finalmente senza armi, senza quei pensieri che ci costruiamo di giorno per recitare, più o meno bene, il ruolo che ci compete. Qualcuno avrebbe il coraggio di chiamarla libertà, altri addirittura verità. Per me, invece, si tratta semplicemente della resa dei conti, una resa che non ha nulla della sconfitta, nulla di tragico insomma, ma che ha il sapore dell'abbandono.




Per una sera che resiste
che stringe i pugni e caccia il buio
in un anfratto di silenzio
non ho nessuna soluzione.

Affronto la distanza
come si affrontano le stelle
a capo chino
contando gli anni-luce.

Per questo dire con la vista
che afferra il nero e scuote il petto
in un subbuglio di ricordi
non ho mai chiesto il tuo perdono.

Abbrevio la distanza
dove si annunciano le valli
a volo raso
cantando a mezza voce.                                                       (da Perimetri e distanze, inedito)


e buona sera a tutti! Prendetevi cura delle vostre sere, ma pure dei vostri giorni.

mercoledì 27 novembre 2013

il poeta-maggiordomo (decaduto)

oggi, 27 novembre 2013...

sono sempre stato un fan di Francesco De Gregori e quindi non ho difficoltà a condividere una sua famosa frase e canzone "i poeti che brutte creature" (De Andrè, poi, non se la sentì di usare le stesse parole e preferì cambiarle in "i poeti che strane creature"). Ebbene, visto che mi sono ripromesso di scrivere questo breve post senza mai, e dico mai, citare il nome del decaduto, cerco di attirare l'attenzione sul poeta-maggiordomo, inquilino nella villa del capo (decaduto), quel cucciolone dagli occhi che tracimano intelligenza e sensibilità: Sandro Bondi.

Ecco alcune sue poesie:



Alla segretaria del Cavaliere, Marinella
Muto segreto
inconfessata attesa
desiderata armonia
inavvertita fortezza
             sospirata carezza d’amore

A Veronica Lario in Berlusconi
Bellezza del soccorso
sensuale ironia
             vigore dell’amore
             intrepida solitudine

A Rosa Bossi in Berlusconi
Mani dello spirito
Anima trasfusa.
Abbraccio d’amore
            Madre di Dio

A Silvio
Vita assaporata
Vita preceduta
Vita inseguita
Vita amata
Vita vitale
Vita ritrovata
Vita splendente
Vita disvelata
           Vita nova

Queste e altre poesie sono state pubblicate su Vanity Fair (povero Thackeray!), cui presumo appartengano i diritti d’autore.

Sarebbe necessario, a questo punto, un commento critico che si dilungasse nel sottolineare la profondità dei concetti espressi, la scelta accuratissima del vocabolario, la coraggiosa iterazione del sostantivo inziale, il "tu" come apertura all'altro e disponibilità al dialogo, la pacatezza dell'omaggio, la leggerezza dei testi di poesia "d'occasione", la levigatezza del dettato, la transustanziazione del verbo assente, l'allitterazione elegante ("vita vitale" sic!), l'onestà e autenticità del sentimento, l'assenza di qualsivoglia piaggeria, la densità ritmica. (non ho avuto occasione di leggere il parere del giornalista o critico Vomity Fair, chiedo aiuto).

Perché, allora, mi viene solo un grillesco vaff.......? Perché?  Non volevo assolutamente dare risalto a questo poeta, pardòn, brutta creatura, ma quando l'ho visto urlare "Vergognatevi!", mi sono detto, 'va bene, io ci sto a vergognarmi, e tu?'. La faccio poco lunga: ma vaffanculo, poeta-maggiordomo! E che la Madonna, quella vera e non la madre del decaduto, almeno si irriti un pochino e ti mandi una diarrea. E' il minimo che le si possa chiedere! Scusatemi, dopo le levigate e studiatissime parole di Bondi, la parola diarrea può suonare davvero blasfema, ma mi è scappata.

ce l'ho fatta, non ho citato il nome del decaduto! I poeti, che furbe creature... 


mercoledì 30 ottobre 2013

a Sàrmede, a Sàrmede!

Ci sarebbero troppe cose da dire a proposito di Sàrmede, della splendida mostra di illustrazioni Le immagini della fantasia giunta alla sua 31a edizione. Ho ancora gli occhi e il cuore e il cervello (sì ho anche quello!) storditi da tante cose belle, da tante persone incontrate per la prima volta, da tante parole di festa e di impegno, di arte e di generosità, di progetto e di fatica. Insomma, Sàrmede mi ha regalato 2 giorni di "aria buona e fresca", di bellezza senza intermediazione alcuna, di voglia di vedere e fare e continuare.


il catalogo della mostra 2013, con illustrazione di copertina di Gabriel Pacheco (il catalogo a cura di Monica Monachesi contiene anche una interessante intervista a Gabriel Pacheco di Anna Castagnoli)

A chi dire dunque grazie? Come fare a dire tutto quello che è stato per me?
Utilizzerò la sintesi che non riesco mai a utilizzare quando scrivo? Ci provo:

1) Arrivo. Il B&B "La casa in collina" di Paola e Pippo: bellissimo murale, grande simpatia, ottima accoglienza, insomma e un gruppo di illustratrici (un solo illustratore maschio) alla loro ennesima esperienza a Sàrmede. Grazie quindi, in ordine di apparizione a Valentina di Udine, Rossella di Trieste (più mamma al seguito), Chiara di Riva del Garda, Piero di un paese veneto che non ricordo. Grazie poi a Gianna, spettacolare donna di origine sarda e tostissima manager. Breve giro per il paese ad ammirare i murales su molte delle case del paese trevigiano.

2) L'inaugurazione. La gente (tanta, ma tanta!) comincia ad aggirarsi tra il Municipio (interamente "illustrato" e con all'ultimo piano il Museo Zavrel) e la Casa della Fantasia. Il momento dell'inaugurazione incombe, ma tutti sono così curiosi di vedere la mostra che gli sapzi espositivi sono già gremiti. Poi, sul palco salgono autorità, ospiti, sponsors, organizzatori e tutte le persone più direttamente coinvolte. Partono i discorsi ufficiali (tanti, ma quasi tutti brevi). Sul palco viene invitato l'ospite d'onore di questa edizione, Gabriel Pacheco, uno dei più grandi del mondo, nativo di Città del Messico, ma cittadino di Buenos Aires. Poi gli altri illustratori selezionati.
Gabriel Pacheco, ospite d'onore 2013

3) Si apre la mostra nel vero senso della parola, cioè ci si accalca furibondi negli spazi espositivi, ci si incontra, ci si scontra, si tenta di guardare il bellissimo murale che Gabriel Pacheco ha realizzato su una parete Il poeta e la pietra, si insegue l'ospite per una dedica, si spendono danari per i libri suoi e di altri illustratori presenti alla mostra. Poi, ci si infila, col cuore in subbuglio, nella saletta Pacheco. Ed è subito magìa, una fòlgore ininterrotta di tavole, di grigi, di colore, di testi che rivelano un uomo colto, profondo, altamente "poetico" nel suo modo di lavorare, di ricordare, di cercare nel mondo la bellezza della poesia, le parole per dire questa bellezza. Non si riesce a dire null'altro tanto è lo stupore che ogni tavola regala, tanta è la capacità di Gabriel di fare di una tecnica un  opera d'arte, di fare di un pensiero un grumo di bellezza, di fare di un'idea un'infinita serie di rimandi, di rilanci. E' come se il suo pensiero chiedesse immediatamente una forma e poi un'altra ancora, all'infinito. Un salto anche a salutare un amico "gallego", David Pintor, e ad ammirare la sua "lezione" su come si illustra un libro che, detto tra noi, è poi L'eco, Edizioni Lapis. Un altro omaggio all'arte di alcuni bravissimi illustratori amici, Simone Rea e Mariana  Chiesa. La sala letture è un invito al furto per chi vorrebbe nella sua biblioteca almeno venti pupazzi realizzati da Arianna Papini.

4) Incontro con gli illustratori. In una Sala Zavrel piena zeppa, Monica Monachesi (curatrice della mostra) ci accompagna alla scoperta di alcuni illustratori presenti. le parole di Monica hanno il sapore dell'entusiasmo, oltre che della competenza, assieme alla grazia di chi non vuole insegnare, o mostrare conoscenze indubbiamente profonde. Chiama a sé ogni singolo illustratore e lo fa parlare. E' un susseguirsi di volti, quasi tutti giovani, di parole precise (quanto ce n'è bisogno!), di belle mani che disegnano nell'aria idee. Gabriel Pacheco e Anna Castagnoli che dialoga con lui, Mattias De Leeuw, Marco Paschetta, Giovanni Marra e, alla fine, come un lampo improvviso arriva anche Arianna Vairo che sorride e parla della Llorona, il corrispondente del nostro Babau per i bambini messicani (il personaggio è in realtà molto di più di questa comoda definizione).

Monica Monachesi presenta Gabriel Pacheco

5) Il Messico visto attraverso gli illustratori. Immagini sul paese mesoamericano, ricco di fiabe e leggende meravigliose, ancora dolente per la grandezza passata, eppure in grado di reinventare i suoi stessi miti, i suoi dèi, i suoi colori. Una scelta ricca di tavole illustrano il Serpente Piumato Qetzalcoatl che un giorno ritornerà al suo paese da Est (e che Montezuma non si sbagli questa volta!), e poi altri miti e altre figure, la morte, la dama, la llorona. Una sala che brilla tanto è colorata e varia. Una sala che invita a comprare il libro sulle Fiabe dal Messico, Edizioni Franco Cosimo Panini che, come ogni anno, è curato da Luigi Dal Cin e si presenta rosso fiamma ai tanti appassionati non solo di immagini, ma pure di storie. Segue laboratorio a cura di Monica Monachesi, con l'aiuto di alcuni illustratori. Riesco a fermare per un attimo Arianna Vairo che volevo conoscere da tempo, giusto il tempo di dirle come è brava.

6) Fine laboratorio. Arianna viene a sedersi vicino a me e parliamo un po' del suo lavoro (quante mani magiche ha, quante belle idee, che forza in una donna ancora così giovane!). Arianna mi regala la cartolina con la sua Llorona. Ridiamo anche molto e poi ci prepariamo a seguire la proiezione di cortometraggi sempre sul Messico, alcuni davvero molto belli. La gente c'è ancora e numerosa, alcuni bambini commentano come solo i bambini sanno fare le parole di Monica. Saluto anche Paola, altra bravissima illustratrice che mi mostra, con timidezza, il suo bellissimo libro su Mirò per Artebambini.

7) Partenza: triste momento, dopo due giorni di bellezza regalata in modo intelligente e leggero. Ripenso a Paola e Pippo del B&B "La casa in collina", ospiti straordinari e molto colti, anche se Pippo ha letto troppo Pavese e poco Fenoglio! Ripenso alla colazione infinita nella veranda del loro B&B. Ripenso a tutte le persone che ho incrociato, incontrato, ascoltato, ammirato. Sono un po' mogio, ma so che ritornerò a Sàrmede in gennaio e allora mi consolo. Ho i freni che "suonano" (saprò solo dopo che le auto giapponesi inseriscono un lamella-spia per avvisare i proprietari dell'auto che le pastiglie dei freni sono ormai da cambiare!), spero di riuscire ad arrivare a casa.

Beh, sono arrivato...

Qualcuno dirà: un post così lungo con due sole immagini! Il lavoro degli illustratori è così prezioso che è giusto che si vedano solo le immagini che loro stessi hanno deciso di rendere pubbliche e così vi invito ad andare a visitare i loro siti web, i loro blog, le loro pagine facebook e, ovviamente, il sito della mostra Le immagini della fantasia (anche pagina FB). Rimarrete storditi da tanta bellezza. Non sono uno a cui piace tutto, ma devo fare i complimenti a Sàrmede e a tutti coloro che hanno lavorato alla 31 Edizione della mostra per la qualità delle scelte e per la capacità di organizzare un programma così denso di eventi, incontri, laboratori. E un augurio alla 31a mostra quando prenderà la via delle tante città di tutto il mondo per essere ammirata anche da altri occhi, bambini e adulti, esperti e semplici curiosi. E se ho dimenticato qualcosa è solo colpa mia! E se ho dimenticato qualcosa, allora vi conviene davvero andare a Sàrmede, e non ve ne pentirete. Andate, gente, andate...

domenica 20 ottobre 2013

ciao Rosso!

Chiedimi voce che non cada
nell'indecenza dell'assenso
e suoni aperti e sorridenti
prima che avanzi il buio
prima che taccia in petto
il cuore sazio del consenso.

Chiedilo adesso oppure taci
e non temere
se vedi solo queste croci
che sto segnando a caso
col poco rosso che è rimasto
è già diventa scuro tra le braci.

Ecco, mi piace salutare Rosso Belvedere così, con ancora nelle orecchie i suoni belli del pranzo finale di oggi, con le persone (non tutte, purtroppo!) che hanno fatto rosso il nostro Belvedere, con ancora negli occhi il sorriso di giovani mamme, di vecchi babbioni, di bambini seriamente impegnati nei loro giochi. Sono stati tre anni belli, pieni di cose, di entusiasmo, di fatica e allegria. Io sono stato felice con tutte le persone che sono venute a trovarci, che hanno capito cosa c'era dietro quel "rosso" così bello da farci rimanere senza fiato (e parlo del colore e dell'idea di colore).
Non sono però solo un sognatore, riesco ancora a capire quando è ora di staccare la spina, di rimettere a posto il cuore per aprirlo ad altre cose. Ancora una volta, però, non ho rimpianti. Chi mi ha accompagnato lungo questa difficile strada mi ha regalato tesori che frutteranno nel tempo, magari altrove. E queste sono le vere lezioni che desidero ricevere lungo il mio cammino in questa terra. Per il resto, per tutto quello che non è andato per il verso giusto, mi assumo le mie responsabilità, la mia difficoltà ad affrontare la realtà per quella che è. Ecco perché, per dire la parola fine al Rosso ho bisogno di parole forti, come quelle di un poeta lui sì davvero grande, Baudelaire:

La stoletzza, l'errore, il peccato, la grettezza
empiono i nostri spiriti e travagliano i nostri corpi,
e noi alimentiamo i nostri cari rimorsi
come i mendicanti nutrono i loro insetti.

Peccati ostinati, pentimenti vigliacchi;
le nostre confessioni esigono lauti compensi,
e sulla via melmosa rientriamo contenti,
con vili lacrime illusi di lavare ogni macchia.

......

Ma in mezzo agli sciacalli, le pantere, le linci,
le scimmie, gli avvoltoi, gli scorpioni, i serpenti,
fra i mostri strepitanti, urlanti, grugnenti, striscianti,
nel serraglio infame di tutti i nostri vizi,

uno ce n'è più orribile, più malvagio, più immondo!
Benché non lanci alte grida né faccia grandi gesti,
ridurrebbe la terra a un misero resto
e in uno sbadiglio inghiottirebbe il mondo;

è la Noia! - L'occhio di pianto un incongruo rovello
gli colma, fuma l'houka sognando patiboli.
Lo conosci, lettore, questo mostro sensibile,
- ipocrita lettore - mio simile - fratello!                             (trad. di Luciana Frezza)


Grazie dunque a tutti coloro che hanno fatto la mia stessa strada, a quelli che l'hanno incrociata, a chi ha reso possibile il rosso. Non voglio aggiungere altro: a forza di ripetere cose, mi annoio da solo e, sinceramente, non me lo posso permettere. ale






giovedì 3 ottobre 2013

Lampedusa

Oggi
pallore gonfio e sale.

E dire "tocco terra"
resta una frase aperta
una bestemmia sorda
e non è più 
salvezza certa.


Non ce la faccio più a sentire dichiarazioni d'intenti, fasulle ammissioni di colpe, appelli a chi di dovere. E' una tragedia, un lutto immenso quello che accade da anni nel mare di tutti (e non nostrum!). Non ce la faccio a dire cose, ad affermare concetti, a formulare accuse. Ho appena letto il comunicato stampa di Emergency: chiaro, terribile nella sua analisi. Leggerò, e leggeremo, altri comunicati; ascolterò, e ascolteremo le voci del Papa, dei governanti del mondo intero, dei commentatori, dei giornalisti, forse anche delle persone comuni e, magari, la voce dei coraggiosi e stanchi abitanti di Lampedusa. Poi, tra qualche giorno, le bandiere listate a lutto ritorneranno a garrire con il loro colori un giorno sbeffeggiati e il giorno dopo usati a baluardo di una italianità da barzelletta. Un caso di cronaca nera, un ennesimo litigio in casa PDL o PD ricacceranno nel più profondo mare dell'oblio il corpo di chi non troverà forse mai una sepoltura. I cosiddetti grandi della terra ritorneranno marionette di quel modello di sviluppo che mostra già da tempo il suo volto più feroce. Si farà di nuovo finta che tutto sia sotto controllo, che quello che separa le nazioni non è solo uno stupido confine, ma lo spread, il pil, la solidità e via di questo passo. A quando, allora, un'agenzia di rating delle politiche sociali, delle dignità delle nazioni, dell'impegno a fare della vita un vero valore insindacabile ed esterno al mercato? Chissà l'Italia della Lega quante A potrebbe meritare? E chissà quante ne raccatterebbe l'Europa della Merkel? Ecco, non ho parole per rendere omaggio a quelle donne e quegli uomini uccisi da un sogno grande.

Eppure non vorrei nemmeno che vincesse il silenzio, il ritirarmi nel mio piccolo mondo al riparo da tutto e da tutti. Mai come in questi casi il rischio è di parlare senza dire, di guardare senza osservare, di giudicare senza essere giudicati, di morire di parole. Ecco, il morire di parole è un po', secondo me, quello che contraddistingue le azioni "politiche" degli ultimi decenni della storia del mondo. Una classe dirigente, anche e soprattutto ai livelli più alti, e in special modo in Italia, che ha smarrito la chiarezza di un pensiero che si fa azione e non solo o tanto disquisizione, quando non vero e proprio sproloquio, logorroica nebbia, fumo rapido a dissolversi, esercizio vano e ormai stucchevole.

Ebbene, in questa sera, dopo aver spento la TV, con ancora negli occhi l'azzurro del mare su cui galleggiava un sogno grande, su cui galleggiano ora le ombre bianche della morte, ritorno alle parole mie di anni addietro, parole di "poeta" (così mi si dice), come a chiedere loro aiuto, non tanto una spiegazione, un'analisi, ma almeno un briciolo di senso, un breve scatto di una lingua che sa che non può dire tutto, ma mai s'arrende a pronunciare parole esatte: vita che è vita, morte che è morte, ingiustizia che è ingiustizia, povertà che è povertà, guerra che è guerra, sogno che è sogno...

Parti
il corpo aperto
come ferita
offerta al mondo.
Ma non voltarti.

La spuma si scuote
dal fondo, si perde
nel soffio del dio
indifferente, distratto
e quale poi
il tuo
il mio?

Buon riposo, gente tra le onde.

sabato 28 settembre 2013

Sentiero d'Arte: ha quasi 20 anni, e li dimostra!

la "polvere di sole"

Da un angolo del cielo

piovono linee rosse

quasi un reticolo di sangue

un sollevarsi di dolori

nell’aria sgombra dell’autunno.



C’è un grappolo di vero in quel disegno

un lento rovesciarsi delle cose

come per dire “Ecco, ti sia felice il passo”

un ascoltare pietre accovacciate

in mezzo a un verde acceso, a macchie.



Da un cielo così solo

cade una polvere di sole

come un crepuscolo di lingua

un rivelarsi di stupore

nell’ultimo tepore dell’autunno.


Era il 1994, era un'idea che covava da anni, era una scommessa finalmente a portata di mano, era un segno lasciato sul territorio, era un omaggio alla bellezza della nostra terra e della nostra arte, era un gettare un ponte con chi sarebbe venuto dopo. Era, era, era...
Ieri siamo saliti di nuovo lassù, a visitare quel sentiero, col cuore che batteva forte, con rabbia e nostalgia come compagne. Perché? Si sa il perché, ma non se n'è più parlato. Tutto è scomparso dalla mente, precipitato assieme ad altre sconfitte. Ma ogni volta credo che a perdere sia soprattutto la nostra stanca e spersa comunità. Il nostro essere meravigliosamente periferici, spesso, ci spinge a elaborare sogni grandiosi che, quasi per la magia del bosco e del monte, diventano talvolta realtà, progetti e fatti che attirano l'attenzione di chi sta fuori, di chi sta lontano. E' attraverso gli occhi di chi viene a visitarci che riscopriamo una ricchezza dataci in sorte. Chi arriva guarda, parla, ama, inizia un dialogo, aspetta una risposta. Come si fa, poiché questa è la domanda, a rimanere sordi a questo invito? Perché, ogni volta, la nostra voce si interrompe? A chi sostiene che "anche le cose belle finiscono" mi viene voglia di gridare che, indipendentemente da chi porta la colpa della fine, una cosa che muore è una cosa che muore e basta. Dobbiamo pensare bene alla responsabilità che tutti portiamo, nei confronti di noi stessi, ma soprattutto nei confronti di chi ci vive accanto. Un bagno di umiltà fa sempre bene alla salute, un gesto di coraggio, una minuscola rinuncia di maestà. Stasera, dopo la visita nel bosco, farei a pezzi tutto quanto, maledicendo la mia stupida passione, quella che mi porta avanti, che non ascolta la ragione, non vede il limite del tempo, quella passione che fa tanto bene, pur se ti fa restare muto, triste, solo con il tuo piccolo fardello di speranze. Ripenso alla mia vecchia idea che le ferite poi diventano cicatrici, che non fanno più male. Beh, credo di avere torto.

Ecco cos'è il Sentiero che in molti hanno percorso, che pochi hanno immaginato. Cos'è oggi, a quasi vent'anni. La bellezza non se n'è andata definitivamente. Le fotografie sono di Lule, grazie!



"La grande trave sacra di Hokusai" di Bruno Raspanti

Tu non ci sei
mi lascio sorvegliare
dagli occhi dei miei faggi
in questo sottobosco rosa

il rosa che anche tu, Bruno
cercavi e non trovavi
con la tua testa aperta
e gli occhi spalancati.

Vidi la trave nel tuo occhio
l’omaggio al nome di Hokusai
e poi la vidi lunga sull’altare
e infine vidi il rosa.

“Certo – mi hai detto – non credo che sia quello
ma è quasi uguale.”


"Sette segni sogni" di Rinaldo Novali

Segni di sogni
svaniti dentro il nero
come ragni.

Avevi scelto il sette

Rinaldo

numero magico e potente
avevi appeso i sogni
i segni
ai resti delle piante.

E ora
i tuoi sogni?
Caduti tra le felci
del bosco
ritornano parole.

Più non ti conosco.



"Poeticamente abita l'uomo" di Graziano Pompili

Ho visto subito
la polvere che ti copriva gli occhi
la luce la fede la gioia
di respirare questo bosco.

Pensavi a Holderlin
Graziano
compagno tuo di strada
mentre cercavi di spiegarmi
dove poeticamente abita l’uomo.

La tua saliva è lama
fende le pietre nude
lungo il sentiero che risale.
E’ la tua pietra viva che attecchisce
con gemme rosse sulla fronte
per chi sa il tempo e pure
ancora si stupisce.





"Impossibile mikado" di Claudio Costa

Sono sicuro che è partito
Claudio
quel tuo vascello
nato dai sette faggi raggruppati
con il tesoro al centro
quell’uovo di Colombo
della tua Genova solare e folle.
Muovevi le tue mani
di rabdomante dimentico dell’acqua
che cerca solo legno e pietra
in trasparenza di materia.

Miriam ed io seduti
su quel tuo gioco immenso
non parlavamo e guardavamo
il cuore grande, inferocito
che avevi nella mano.












































 
 l'"occhio del faggio", lo sguardo di natura, continua a guardare, a serbare la bellezza.


i testi sono tratti da "Il mare in salita", Book Editore, 2007