mercoledì 5 marzo 2014

Care maestre,

La nostra è una terra di confine, di passaggio, luogo di transito continuo di persone ed esperienze, crinale che non divide, ma permette di scollinare da un orizzonte all'altro. Lo scollinare, che a me piace chiamare svalicare, è un duro e affascinante esercizio che ci fa crescere e, in questo, assomiglia molto a una scuola. Proprio come nella scuola, infatti, questo movimento è anche l'affermarsi di un difficile atto di amore, di fedeltà alla vita, nostra e degli altri, lo svelarsi di un sentiero che spinge i nostri passi lungo l'orizzonte sempre mutevole della nostra geografia/biografia. Nel momento in cui la "crisi" pare attanagliare la nostra terra (e non solo la nostra), e sembra disegnare una nuova geografia che non ci piace, mi sorge il sospetto che parte della colpa sia nel nostro occhio che si è impigrito, che non cerca più il movimento fluttuante dell'orizzonte, ma desidera solo la linea ferma del già detto, del già fatto, del già visto e già vissuto.

Una prova del mio sospetto la trovo nelle discussioni che agitano tutti noi in tempi di presunta "svolta" (elezioni, crisi economiche, separazioni, lutti, eccetera). In questi tempi, solo apparentemente vivi e vivaci, trionfa il già detto, il già fatto, il già visto e già vissuto. E si accumulano slogan, invocazioni, richiami all'ordine, promesse, miracoli. In tutto questo scomposto vociare, poi, si nota un'assenza che ha dell'incredibile, l'assenza della voce dei maestri, qui intesi nel vero e grande significato del termine. Mai come oggi, i maestri (e, per esteso, tutti gli insegnanti) sono assenti proprio nel momento in cui ci sarebbe più bisogno di loro, non tanto come portatori di nozioni, insegnamenti, cultura, ma molto di più come costruttori di futuro. Sono stato insegnante, conosco centinaia di maestre, comprendo la fatica del loro lavoro; è ovvio che mi chieda il perché di questo assordante silenzio. Così, per trovare una possibile risposta, sono andato a rileggere alcune pagine di un libro di Alex Corlazzoli, un maestro di provincia (come si definisce lui stesso), ascoltato con immenso piacere in una Mirandola semidistrutta dal terremoto, grazie all'iniziativa di una maestra davvero speciale, Elisabetta Cremaschi.

La scuola che resiste, storie di un maestro di provincia, Alex Corlazzoli, Chiarelettere, 2012


Nelle prime pagine del libro trovo una perfetta sintesi di ciò che si potrebbe fare per salvare il nostro esercizio scolastico dello svalicare:

"Forse dovremmo riconquistare il ruolo del "maestro". Per troppo tempo siamo stati bistrattati, considerati degli operai della scuola, uomini e donne alla catena di montaggio dell'istruzione. I bambini ci chiedono di essere altro: pretendono da noi di essere veri, reali, uomini con i nostri pregi e difetti, ma totalmente ancorati alla realtà."

Le parole di Alex calzano alla perfezione per tutti coloro che non si arrendono a guardare come muore l'orizzonte, che non si sono ancora seduti, che non vogliono tacere nemmeno nel vento più impetuoso, che non si accontentano di trovare le risposte ma vanno quotidianamente in cerca di nuove domande.

In questi giorni, tutti hanno reso omaggio a due maestri che, purtroppo, in altro senso, hanno "svalicato": Alberto Manzi e Mario Lodi. La lezione che ci hanno regalato con il loro lavoro e il loro coraggio sta nel miracolo di una voce che si ostina a parlare, nonostante le difficoltà, i fraintendimenti, le minacce, le volgari sordità. Mai come oggi, ci sarebbe bisogno della voce dei maestri, e mai come oggi, la voce più coraggiosa risuona spesso in luoghi appartati del nostro mondo, dove vivono e lavorano maestre e maestri  che sono davvero reali, ancorati alla realtà. In un altro post, ho parlato della Scuola Pejo Viva e un intero capitolo del libro di Alex è dedicato alla Scuola dei Bambini di Monte Sole, dove Sarah e Pierpaolo e altri maestri e genitori costruiscono un originale percorso didattico da conoscere e studiare. (Mi si stringe il cuore al pensiero che Sara e Pierpaolo sono stati nostri concittadini solo per alcuni anni. Pierpaolo fu il primo Direttore del Parco Regionale del Corno alle Scale).

Dedico questo mio post a Carla e Patrizia, due maestre con la M maiuscola, che vivono, lavorano, pensano, costruiscono qui, da noi, per noi: due voci che si fanno ogni giorno due strade maestre. Grazie Carla e Patrizia. E avanti così.  

sabato 1 marzo 2014

"Che cosa sia la bellezza non so"




"Che cosa sia la bellezza non so." Queste sono parole di Durer, il grande pittore che di bellezza, pur non sapendone il significato, ce ne ha regalata in abbondanza.  La frase di Durer è pure il titolo di un bel libro uscito ormai nel 1991, per Leonardo Editore, un libro nel quale sono chiamati a discutere di "bellezza" alcuni artisti contemporanei e alcuni filosofi. E' un libro che vado a ripescare, di tanto in tanto, quando ho bisogno di cancellare dai miei occhi le cose che, senza essere né artista né filosofo ma cittadino del mondo mi trovo davanti e che, a mio avviso, rientrano nel concetto opposto di "bruttezza". Nella breve introduzione, Michele Bonuomo e Eduardo Cicelyn, definiscono la bellezza:

Come improvvisamente accorgersi di stare al mondo, qui, ora e non per sempre. E' l'esperienza brutale del divenire, che né il passato né il futuro possono riscattare... Il bello è la dura, solitaria, impossibile ricerca di una ragione comune".



Per estrarre il bel libro dalla mia disordinata biblioteca, ho fatto cadere un altro libro che ho letto tempo fa e che parla di un viaggio in Topolino attraverso le Alpi e gli Apennini di Paolo Rumiz, noto giornalista e scrittore. Di quel libro mi colpì subito il titolo La leggenda dei monti naviganti. Poi, lessi d'un fiato la parte dedicata alle Alpi e, dopo una pausa, affrontai la discesa di Rumiz lungo l'Appennino (la parte, per me, più riuscita ed evocativa).

Ho riletto velocemente le prime pagine e ho riaperto il libro sulla bellezza, giocando a sfidare il paradosso del concetto, appuntando parole che mi aiutassero, non tanto a ricordarmi della bellezza dei miei monti, quanto, e molto di più, a cercare di capire come è stato possibile che le nostre terre si siano riempite di cose brutte, inguardabili, estranee. E, come sempre accade, i due libri mi hanno costretto a ragionare su quanto di segreto ci rimane vicino, magari inosservato, ma forte e affascinante come ogni segreto che si rispetti. Stare a ragionare del nostro mondo, del nostro agire, è un esercizio indispensabile, un viaggio che non è conoscenza in sé, ma "un fare conoscenza del mondo". Rumiz mi ha confermato un sospetto che nutrivo da tempo, che molti di noi nutrono ormai da troppo tempo :

Come ogni vascello nel mare grosso, la montagna può essere un insopportabile incubatoio di faide, invidie e chiusure. Ma può anche essere il perfetto luogo-rifugio di uomini straordinari, gente capace di opporsi all'insensata monocultura del mondo contemporaneo. Contro questi "giardinieri di Dio" - elfi guardiani dei loro microcosmi e garanti dell'equilibrio ambientale della nazione - si sono accaniti in tanti: il fascismo, l'assistenzialismo dc, il monopolismo berlusconiano, l'arroganza della giovane sinistra, la grande distribuzione e persino gli alti prelati. Il risultato è che la montagna - pur essendo la spina dorsale del paese - è totalmente scomparsa, guarda caso con la Resistenza, dalla politica e persino dall'immaginario nazionale. Sia le Alpi sia gli Appennini restano mondi subalterni, privi di autostima e di rappresentanza politica. Oggi, a viaggio finito, so che dietro ogni alluvione, dietro ogni siccità, dietro ogni emergenza climatica, non vi è solo l'effetto serra, ma anche la guerra sistematica del potere contre le periferie più vitali, quelle capaci di tenere vivo il territorio e di impedirne la devastazione finale.



Paolo Rumiz racconta, quindi, quelle che lui chiama "le terre del silenzio", ed è bello che ne parli, come sarebbe bello che ne parlassimo pure noi, reinventandoci alfabeti che sappiano colpire l'ascolto dei nuovi abitanti delle nostre montagne, che sappiano affascinare i bambini a cui queste terre debbono esserer lasciate in eredità. 

A volte, è molto bello essere periferia, vivere nel silenzio, serbare la poca bellezza rimasta, raccontare il segreto solo a chi lo vuole conoscere.


La leggenda dei monti naviganti, Paolo Rumiz, Feltrinelli, 2007


Che cosa sia la bellezza non so, Leonardo, 1991