sabato 28 settembre 2013

Sentiero d'Arte: ha quasi 20 anni, e li dimostra!

la "polvere di sole"

Da un angolo del cielo

piovono linee rosse

quasi un reticolo di sangue

un sollevarsi di dolori

nell’aria sgombra dell’autunno.



C’è un grappolo di vero in quel disegno

un lento rovesciarsi delle cose

come per dire “Ecco, ti sia felice il passo”

un ascoltare pietre accovacciate

in mezzo a un verde acceso, a macchie.



Da un cielo così solo

cade una polvere di sole

come un crepuscolo di lingua

un rivelarsi di stupore

nell’ultimo tepore dell’autunno.


Era il 1994, era un'idea che covava da anni, era una scommessa finalmente a portata di mano, era un segno lasciato sul territorio, era un omaggio alla bellezza della nostra terra e della nostra arte, era un gettare un ponte con chi sarebbe venuto dopo. Era, era, era...
Ieri siamo saliti di nuovo lassù, a visitare quel sentiero, col cuore che batteva forte, con rabbia e nostalgia come compagne. Perché? Si sa il perché, ma non se n'è più parlato. Tutto è scomparso dalla mente, precipitato assieme ad altre sconfitte. Ma ogni volta credo che a perdere sia soprattutto la nostra stanca e spersa comunità. Il nostro essere meravigliosamente periferici, spesso, ci spinge a elaborare sogni grandiosi che, quasi per la magia del bosco e del monte, diventano talvolta realtà, progetti e fatti che attirano l'attenzione di chi sta fuori, di chi sta lontano. E' attraverso gli occhi di chi viene a visitarci che riscopriamo una ricchezza dataci in sorte. Chi arriva guarda, parla, ama, inizia un dialogo, aspetta una risposta. Come si fa, poiché questa è la domanda, a rimanere sordi a questo invito? Perché, ogni volta, la nostra voce si interrompe? A chi sostiene che "anche le cose belle finiscono" mi viene voglia di gridare che, indipendentemente da chi porta la colpa della fine, una cosa che muore è una cosa che muore e basta. Dobbiamo pensare bene alla responsabilità che tutti portiamo, nei confronti di noi stessi, ma soprattutto nei confronti di chi ci vive accanto. Un bagno di umiltà fa sempre bene alla salute, un gesto di coraggio, una minuscola rinuncia di maestà. Stasera, dopo la visita nel bosco, farei a pezzi tutto quanto, maledicendo la mia stupida passione, quella che mi porta avanti, che non ascolta la ragione, non vede il limite del tempo, quella passione che fa tanto bene, pur se ti fa restare muto, triste, solo con il tuo piccolo fardello di speranze. Ripenso alla mia vecchia idea che le ferite poi diventano cicatrici, che non fanno più male. Beh, credo di avere torto.

Ecco cos'è il Sentiero che in molti hanno percorso, che pochi hanno immaginato. Cos'è oggi, a quasi vent'anni. La bellezza non se n'è andata definitivamente. Le fotografie sono di Lule, grazie!



"La grande trave sacra di Hokusai" di Bruno Raspanti

Tu non ci sei
mi lascio sorvegliare
dagli occhi dei miei faggi
in questo sottobosco rosa

il rosa che anche tu, Bruno
cercavi e non trovavi
con la tua testa aperta
e gli occhi spalancati.

Vidi la trave nel tuo occhio
l’omaggio al nome di Hokusai
e poi la vidi lunga sull’altare
e infine vidi il rosa.

“Certo – mi hai detto – non credo che sia quello
ma è quasi uguale.”


"Sette segni sogni" di Rinaldo Novali

Segni di sogni
svaniti dentro il nero
come ragni.

Avevi scelto il sette

Rinaldo

numero magico e potente
avevi appeso i sogni
i segni
ai resti delle piante.

E ora
i tuoi sogni?
Caduti tra le felci
del bosco
ritornano parole.

Più non ti conosco.



"Poeticamente abita l'uomo" di Graziano Pompili

Ho visto subito
la polvere che ti copriva gli occhi
la luce la fede la gioia
di respirare questo bosco.

Pensavi a Holderlin
Graziano
compagno tuo di strada
mentre cercavi di spiegarmi
dove poeticamente abita l’uomo.

La tua saliva è lama
fende le pietre nude
lungo il sentiero che risale.
E’ la tua pietra viva che attecchisce
con gemme rosse sulla fronte
per chi sa il tempo e pure
ancora si stupisce.





"Impossibile mikado" di Claudio Costa

Sono sicuro che è partito
Claudio
quel tuo vascello
nato dai sette faggi raggruppati
con il tesoro al centro
quell’uovo di Colombo
della tua Genova solare e folle.
Muovevi le tue mani
di rabdomante dimentico dell’acqua
che cerca solo legno e pietra
in trasparenza di materia.

Miriam ed io seduti
su quel tuo gioco immenso
non parlavamo e guardavamo
il cuore grande, inferocito
che avevi nella mano.












































 
 l'"occhio del faggio", lo sguardo di natura, continua a guardare, a serbare la bellezza.


i testi sono tratti da "Il mare in salita", Book Editore, 2007






3 commenti:

  1. Accidenti, Ale, quante cose in questo post! Se almeno capissero...
    Che rabbia! lule

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  2. Buonuomo..

    mi dispiace..per molte cose..molte delle quali io stesso non capisco.
    Per età..impulsività..disinformazione..e chi più ne ha più ne metta.
    E non esiste linguaggio capace di rinchiudere uno sguardo verso un altro.
    Se ne avessi il potere le lascerei tra le dita la penna che traccia la curva colorosa di ogni arcobaleno.

    Cosa dire quando non si sa cosa dire? forse il silenzio era meglio..? non so.

    un abbraccio a un caro amico

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  3. tu zio sei un gran poeta bravo

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